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IL DISTRETTO ORAFO CAMPANO

LE ORIGINI

Il distretto orafo campano ha origini molto antiche. Già al tempo di Federico II di Svevia (1194-1250) sono presenti a Napoli diversi laboratori orafi, di cui il sovrano si premura di proteggere il lavoro e la qualità dei manufatti, e si ritiene che sotto Carlo II d’Angiò (1248-1309) sia stata costituita la prima corporazione di orefici (la “Nobile Arte degli Orefici”), destinataria di un proprio statuto da parte del re. Sotto il suo Regno fu imposto l’obbligo del punzone per garantire la qualità e il titolo dei metalli utilizzati. È a partire dalla fine del 1400, sotto il dominio aragonese, che comincia a svilupparsi una vera e propria scuola napoletana dell’oro che si raggruppa in un’area ben delimitata della città, nel quartiere Pendino, quella che oggi è conosciuta come Borgo Orefici, alle spalle del Porto della città. Delle loro opere si trova testimonianza, tanto per citare un esempio, nel basamento per la cosiddetta Stauroteca di San Leonzio nel duomo di San Gennaro. Gli Spagnoli, tra l’altro, davano grande importanza agli ornamenti del corpo e avevano una vera e propria predilezione per i manufatti in oro, soprattutto per i collari arricchiti da medaglie.

Il 16esimo secolo è l’epoca, per la categoria, delle prime forme di previdenza, che continuava ad essere una delle funzioni principali della Corporazione trecentesca.

Nel 1700 l’artigiano orafo diventa un membro quasi fisso dello staff del re: Carlo di Borbone (conosciuto come Carlo III di Spagna) adotta una serie di misure per incoraggiare lo sviluppo delle manifatture. Dopo di lui, Ferdinando IV di Borbone riconobbe il grande apporto per il Regno dell’arte di lavorare i metalli preziosi.

A metà del 18esimo secolo si diffonde massicciamente la lavorazione dell’argento, della quale si occupano oltre trecento botteghe fin dal 1600. Maestri, apprendisti e garzoni sono impegnati a trasformare le grandi quantità del metallo provenienti dalle Americhe in splendidi monili destinati a committenze laiche ed ecclesiastiche. Da attività artigianale dunque la creazione di gioielli e oggetti in argento di ogni tipo diventa un’espressione caratterizzante il barocco napoletano che resterà invariata per oltre due secoli. Nel 18esimo secolo lo sviluppo di quest’arte conosce un’ulteriore crescita grazie al proliferare della nuova classe borghese: secondo un calcolo dell’abate Galiani, nel 1750 il valore degli oggetti in argento superava di quattro volte quella della moneta circolante. Gli artigiani cominciarono, nelle loro rinnovate officine, a specializzarsi nella produzione di gioielli che tanto affascinavano la regina quanto le donne comuni. La immancabile presenza di monili è testimoniata anche dai minuscoli gioielli con cui i pastorai napoletani – fautori di un’altra storica arte partenopea – adornavano le proprie minuscole statue da presepe. Quando sul trono del Mezzogiorno Napoleone Bonaparte mise suo fratello Giuseppe, ci si attendeva un declino: e invece nei due anni del suo regno si adoperò per dotare la categoria di norme specifiche. Nel 1808 Gioacchino Murat promulgò la “legge sulla fabbricazione delle materie d’oro e d’argento e sullo stabilimento delle officine di garanzia per le medesime”. L’effetto più evidente della nuova normativa fu l’abolizione del sistema corporativo e l’adozione di una nuova punzonatura. Maggiore autonomia e benefici fiscali agli artigiani si ebbero con il rientro del re Ferdinando di Borbone a Napoli, nel 1815. Da quell’epoca fu peraltro possibile stabilire nuove officine fuori dalla città e cominciò a diffondersi anche una nuova figura, quella del bigiottiere, le cui creazioni erano destinate alle classi borghesi. Intanto il vento rivoluzionario che si diffonde in Europa negli anni Quaranta del 1800 prima e la proclamazione dell’Unità d’Italia dopo fanno perdere a Napoli una parte del suo lustro, sia economico sia culturale. La città continua però a conservare la sua anima artigiana: nel quartiere Pendino un censimento della Commissione di igiene del 1865 evidenzia la presenza, nell’area, di 280 imprese artigiane, 10 fonditori di argento e 26 fonditori di galloni e scopiglie. Il risanamento imposto dalle numerose epidemie di colera di quegli anni coinvolge anche il Borgo degli Orefici, che viene ridisegnato nella struttura delle strade ma non nel tipo di attività. Il secolo si chiude con grande attenzione alla gioielleria antica e il recupero, successivamente, del prezioso come opera d’arte. Nel Novecento, la seconda guerra mondiale e i bombardamenti che avevano distrutto la città e il centro antico, il Borgo Orefici si ripopola e può proseguire e assecondare la propria vocazione artigiana.

Ancora più antica la storia della lavorazione del corallo (e del cammeo), altra eccellenza della produzione campana localizzata a lungo nella zona di Torre del Greco. Della risorsa naturale diventata simbolo di un’intera area parla già Ovidio nelle Metamorfosi e Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia. Una secrezione calcarea prodotta da microrganismi – quindi di origine animale – che già gli antichi Greci avevano apprezzato come ornamento del corpo. La pesca e la lavorazione del corallo erano praticate in tutto il Mediterraneo e da qui il corallo veniva esportato in tutto il mondo: Torre del Greco vi si era dedicata già a partire dal 1400 – quasi tutte le famiglie della zona erano coinvolte in questi affari – ed i pescatori locali, forti della loro esperienza secolare, si spingevano fino alle coste africane, in particolare verso la Tunisia. Alla fine del 1700 – il secolo di maggiore richiesta del corallo – dopo i contrasti con la Compagnie Royale d’Afrique fu prima chiesto e promulgato il Codice Corallino e poi fu approvata la fondazione della Real Compagnia del Corallo, che avrebbe assegnato ai torresi il monopolio della vendita, ma ci mise molto tempo a decollare. Oggi in tutto il mondo Torre del Greco è associata alla lavorazione di questo prodotto ed il suo utilizzo è per lo più riservato al comparto della gioielleria.

OGGI

Circa 2300 imprese tra produzione, ingrosso e commercio e divise tra le aree di Napoli, Marcianise e Torre del Greco, con un’occupazione tra le più elevate del territorio e un indice di esportazione in crescita nell’ultimo anno: questi i numeri principali del distretto orafo campano, specializzato nella lavorazione, da un lato, dell’oro e dell’argento e, dall’altro, del corallo e del cammeo. Core business, la realizzazione di prodotti di alta qualità con pietre preziose e gemme naturali, frutto in molti casi di una lavorazione ancora fortemente artigianale.

La dimensione delle aziende è ridotta: mediamente, gli addetti per impresa sono tre ed i prodotti sono principalmente destinati al mercato nazionale – anche se molti laboratori lavorano su commissione di grandi gioiellieri italiani e internazionali – e a paesi come gli Emirati Arabi Uniti, il Giappone e Israele, specie per il prodotto corallo.

Il settore orafo-argentiero ha per la Regione Campania un’importanza strategica rilevante. Il design e la capacità creativa degli artigiani sono i fattori competitivi su cui punta la produzione orafa. Infatti, non esistendo un fattore di vantaggio o di competitività basato sul prezzo originario della materia prima, la competitività del prodotto campano si fonda unicamente sul valore aggiunto della manifattura. Qualità dei gioielli, design esclusivo, innovazione di prodotto e di processo rimangono i punti di forza vincenti dell’oreficeria campana nel mondo, insieme all’agilità e alla flessibilità tipica di un tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese, capaci di adattarsi con rapidità al mutamento del gusto e della domanda. Peculiarità proprie del processo evolutivo del comparto orafo regionale, sono la tendenza alla concentrazione territoriale della produzione in un limitato numero di aree geografiche e, all’interno di queste, l’accentuata specializzazione e differenziazione dell’attività produttiva. Nell’ambito delle aree orafe i rapporti tra imprese, generalmente di medie e piccole dimensioni, sono prevalentemente regolati da meccanismi informali. L’instaurarsi di relazioni interaziendali favorisce la nascita e lo sviluppo di raggruppamenti o costellazioni d’imprese, con differente grado di strutturazione, fenomeno questo che consente il miglior coordinamento dell’attività all’interno dell’area stessa. Oggi, la Campania rappresenta il terzo Polo Industriale Italiano, nel Settore della Gioielleria ed annovera, inoltre, sul suo territorio molteplici realtà imprenditoriali di successo. L’aggregato settoriale si configura, difatti, come proto distretto industriale e coinvolge un elevato numero di PMI, alcune delle quali, con una notorietà e visibilità di carattere internazionale.

Nei tre poli produttivi campani – Napoli, Torre del Greco e Marcianise – è possibile scorgere tutte le tecniche tradizionali di lavorazione relative sia ai metalli sia alle pietre preziose o semipreziose. Dalla fusione a cera persa fino all’incastonatura, dal taglio fino all’ageminatura, le aziende insediate nel distretto orafo campano nelle sue diverse concentrazioni (Napoli con le botteghe artigiane e il commercio, Torre del Greco e la sua specializzazione in coralli e cammei e Marcianise con una summa completa di attività, dalla produzione industriale alla distribuzione) coprono ogni aspetto della trasformazione delle materie prime in gioiello.

(Fonte: http://151.13.210.29/DistrettiCampani/it/orafo_home.wp)

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