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n. 120/2023 |APPUNTI DEL GIORNO|

In gold we trust – I prezzi dell’oro si sono consolidati questa settimana dopo il rally innescato dal successo della Federal Reserve nel controllo dell’inflazione, con il metallo prezioso scambiato a 1.956 dollari l’oncia. Nonostante l’impennata dei prezzi dell’oro, gli analisti di mercato avvertono che il miglioramento dei dati economici e la possibilità di un altro aumento dei tassi di interesse potrebbero smorzare lo slancio e far crollare i prezzi. Il metallo prezioso è stato scambiato a 1.956 dollari l’oncia venerdì- dopo aver raggiunto un picco di 1.963 dollari l’oncia nella notte – ed è salito di oltre 20 dollari l’oncia nella sessione di mercoledì – stamane i mercati aprono con il metallo giallo a 1951 dollari l’oncia ovvero 55,85 euro al grammo. Tuttavia, i dati incoraggianti sui prezzi al consumo hanno mostrato che l’inflazione negli Stati Uniti è scesa ad appena il 3%, il che significa che ora ci si aspetta solo un altro aumento da parte della Fed a settembre prima che i tassi di interesse raggiungano finalmente il picco. Qualsiasi stretta sui tassi viene sia a ridurre l’attività economica, quindi anche dell’oro per attività industriale o gioielleria, sia toglie a togliere risorse alla finanza che, comunque, specula sull’oro. Inoltre, se i tassi non si alzano significa che vi è una minore attenzione all’inflazione e quindi i beni reali ne vengono avvantaggiati.
Rupert Rowling, analista di mercato presso Kinesis Money, ha dichiarato: “Il fatto che l’oro sia riuscito a rimanere sopra i 1.900 dollari l’oncia per così tanto tempo prima della sua recente risalita sopra i 1.950 dollari sottolinea la forza del sostegno sottostante a questo bene rifugio con la fiducia del mercato ancora fragile. Ora che la fiducia del mercato sta migliorando e le azioni stanno guadagnando, l’attuale prezzo dell’oro inizia a sembrare insostenibilmente alto”. (Tratto dall’articolo di Leoniero Dertona “Oro: una settimana in crescita nella speranza che la FED non aumenti più i tassi” pubblicato su scenari economici.it)

Sul Pil Banca d’Italia dichiara – Secondo trimestre a crescita zero per l’Italia: il Pil «è rimasto pressoché invariato in primavera», stima la Banca d’Italia nel suo bollettino economico che aggiorna le previsioni dello scorso mese. La crescita quest’anno resta prevista, comunque, per l’1,3%, mentre nel 2024 e nel 2025 viene limata rispettivamente allo 0,9 e all’1%. A causare la frenata sono stati la «contrazione della manifattura» e i ritmi «più contenuti» dei consumi. Il calo delle somme in banca delle famiglie consumatrici ha superato i 30 miliardi di euro. Trend più marcato nelle province ricche di Asti (-8,9%), Biella (-7,4%) e Milano (-5,2%): pesano l’erosione del potere d’acquisto.

Sul Pil Confcommercio commenta – Novemila euro di spese obbligate gravano sugli Italiani, riducendone i consumi con conseguenze sul Pil. Le previsioni di Confcommercio sull’andamento dell’economia italiana sono fosche. Secondo le stime dell’Ufficio studi della Confederazione, il prodotto interno lordo rallenta dopo due anni di crescita eccezionale.
Nulla o quasi la variazione percentuale prevista nel secondo trimestre dell’anno in corso. “Il costo dell’energia, nonostante i ribassi e gli interventi del Governo, resta elevato e, insieme alle altre spese obbligate, incide pesantemente sui bilanci delle famiglie”, spiega il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, commentando l’analisi del suo Ufficio Studi.
“Il rischio, aggiunge Sangalli, è che ciò si traduca in una riduzione strutturale dei consumi. Riduzione che potrebbe frenare la crescita economica”. Come se ne esce? “Per evitarlo, afferma il presidente di Confcommercio, occorre intervenire con più decisione sulla riduzione del cuneo fiscale e della spesa pubblica inefficiente”.

Commercio: questo contratto s’ha da fare, ma… – Un aumento medio in busta paga da almeno 150 euro lordi al mese per oltre 3 milioni di addetti del terziario, della distribuzione e dei servizi. Ma anche l’aggiornamento delle figure professionali e dei loro livelli di reddito e un intervento sul welfare aziendale. Attorno a questi punti, sindacati e Confcommercio avrebbero trovato un accordo di massima per il rinnovo del contratto nazionale del Commercio. È il più diffuso in Italia tra quelli del settore privato, legato direttamente ad altri tre accordi con Federdistribuzione, Confesercenti e le cooperative del terziario. Per ora la trattativa procede sotto traccia in una serie di incontri riservati e con vari punti ancora da chiarire. Ma bisogna far presto: il contratto è scaduto quasi quattro anni fa, a fine 2019, e a dicembre dello scorso anno le parti si erano impegnate a chiudere la partita del rinnovo entro giugno. Ora il termine è slittato, ma la volontà di tutti è accelerare per chiudere subito dopo l’estate e far scattare gli aumenti il prima possibile.
Con questa intesa verrebbe riconosciuto gradualmente ai lavoratori, su tredici o forse quattordici mensilità, quasi il 60% dell’aumento del costo della vita nel 2022. I prezzi al consumo lo scorso anno sono saliti dell’8,1%: portare l’intero aumento nelle buste paga significherebbe far salire gli stipendi di ogni lavoratore in media di 250 euro lordi al mese. Un costo troppo alto per le tante piccole e medie imprese coinvolte. Approfondimenti nell’articolo di Giacomo Andreoli “Commercio, sprint sul contratto verso aumenti medi da 150 euro” pubblicato su Il Messaggero di ieri domenica 16 luglio.

n. 120/2023 |APPUNTI DEL GIORNO| Lunedì 17 Luglio 2023-S.Alessio

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